Davanti alla Chiesa Parrocchiale di S. Martino di Albaro, in via Lagustena, allo sbocco di Salita Superiore della Noce, un portale seicentesco separa la strada pubblica da quello che fu il monastero delle Clarisse. Il monastero c’è ancora, le Clarisse non ci sono più, le ultime cinque suore che vi vivevano e pregavano il Signore hanno lasciato la loro dimora il 21 novembre 1999, accolte in altri monasteri dalla Versilia alla Brianza.
Dalla fondazione del monastero, 20 novembre 1299, alla sua chiusura, 21 novembre 1999, sono trascorsi 700 anni. Un grande mecenate: Monsignor Tedisio Camilla, alto prelato della Curia di Roma e cameriere personale di papa Innocenzo IV, che lo nominò anche signore di Taggiolo, località nelle vicinanze di Ovada, tra le sue volontà testamentarie redatte dal notaio Vassalino di Agneto, il 24 giugno 1295, lasciò scritto che nella sua villa presso la chiesa di San Martino de Irchis fosse costruito un monastero e che fosse affidato a monache possibilmente dell’ordine dei Predicatori o dei Frati Minori.
Gli esecutori testamentari: i Camilla e l’arcivescovo di Genova Jacopo da Varagine, seguirono attentamente le disposizioni di monsignor Tedisio; dopo i lavori di adattamento della villa a monastero e la costruzione della chiesa dedicata a S. Nicolò de Irchis l’edificio fu affidato alle monache Cistercensi. Queste ne presero possesso e vi rimasero dal 20 novembre 1299 al marzo 1498.
Furono stanziati, ancora per volere di Tedisio Camilla, per il monastero 5000 genovini perché le monache vivessero con dignità e se fosse stato necessario ne sarebbero stati stanziati altri 1000, per consentire di accogliere “..gratis sine aliquo munere qualibet mulier in monialem…”e non creare quindi, distinzioni di censo tra di esse. In cambio i Camilla si riservarono il diritto di giuspatronato.?
Nel XV sec. le pesanti ingerenze della famiglia Camilla nella vita del monastero e un decadimento della vita monastica portarono al trasferimento delle poche suore rimaste in altri siti.
Il 25 marzo del 1498 il monastero fu affidato alle Clarisse provenienti dal monastero di S. Primo di Pavia, ma tutte nate a Genova. La chiesa fu dedicata a S. Chiara. I Camilla rinunciarono al giuspatronato e la vita monastica riprese a fiorire. Nel 1500 il monastero arrivò ad avere più di 150 monache e fu affidato alla cura dei francescani di Nostra Signora del Monte. A questo periodo di fioritura spirituale corrispose anche la trasformazione dell’antico complesso.
Tra il 1525 e il 1550 fu ristrutturata la chiesa. Nuovi mecenati (i Pallavicino, ma principalmente Paride Centurione Frattinanti, che realizzò le modifiche elaborate dalla illustre badessa Suor Chiara Cattaneo) intervennero a finanziare i lavori sia della chiesa sia del monastero in cambio di diritto di sepoltura. Altre famiglie come i Canepa, i Cattaneo, gli Spinola, i Senarega, i Giustiniani e i Doria hanno fatto il resto.
Le suore dovettero abbandonare la propria sede durante la guerra austro piemontese nel 1746/47 e trovare rifugio presso il monastero di San Nicolosio di Vallechiara.
La rivoluzione Francese e l’avvento del regime napoleonico in Italia fra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 provocarono anche a Genova profonde trasformazioni: la soppressione di alcuni ordini monastici, l’utilizzazione degli edifici religiosi per altre finalità, il vincolo di sepoltura fuori dalle chiese e lontano dagli abitati.
Chiuso nel 1810, il monastero di S. Chiara tornò ad essere rioccupato dalle Clarisse nel 1816. Chiuso ancora per contrasti tra i Savoia e la Chiesa nel 1861, adibito ad ospedale militare, fu rioccupato dalle suore nel 1868.
La vita monastica vi si svolse da allora serena, senza interruzioni, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Il 7 novembre del 1942 il monastero venne bombardato.
Alcuni vani furono riattivati dal Genio civile nel 1948; la chiesa fu restaurata dalla Soprintendenza alle Belle Arti nel 1952. La ricostruzione del monastero fu eseguita solo un ventennio dopo, tra il 1964 e il 1966, su progetto dell’architetto Carlo Gaggero e sotto la direzione dell’ingegnere Carlo Barabino, che conservarono inalterata la parte antica risparmiata dai bombardamenti. Il 12 agosto 1966, giorno dedicato dalla chiesa a Santa Chiara d’Assisi, alla presenza del Cardinale Arcivescovo Giuseppe Siri, del P. Provinciale dei Frati Minori G. Bozzo e autorità civili, si svolse la cerimonia di inaugurazione e benedizione del ricostruito monastero. Ma la carenza di vocazioni degli ultimi anni del secolo passato avevano ridotto a cinque le suore di S. Chiara in Albaro, troppo poche per un complesso così vasto
Il Monastero di S. Chiara in S. Martino di Albaro:
architettura, scultura, pittura
Chi si accosta per la prima volta al Monastero di S. Chiara in S. Martino di Albaro resta stupito nel trovare (dietro un’introduzione inizialmente modesta di corridoi e di atrii) una chiesa dotata di un tesoro artistico che giustamente fa annoverare il complesso fra i monumenti nazionali: vi sono tele di L. Cambiaso (1550), affreschi di D. Fiasella (1654) opere di G. B. Carlone, di Giuseppe Palmieri, di Francesco Costa e di Gio Agostino Ratti. Dal 1550 al 1750, duecento anni di decori, di stucchi, di affreschi hanno ricoperto interamente le pareti e i soffitti della piccola chiesa.
L’edificio è estremamente semplice: a pianta rettangolare, m. 32,30 di lunghezza per 12,6 di larghezza, con una struttura caratterizzata dalla divisione verticale in due ambienti: la navata principale, cioè l’aula destinata ai fedeli, ed un coro che le si sovrappone ed occupa i 7 metri del portico esterno e una parte della navata stessa, al di sopra di una bassa volta a botte.
Al presbiterio si accede dall’aula centrale con tre bassi gradini, sopra i quali scorre una balaustra marmorea. Lo spazio presbiteriale risulta più ampio delle sue dimensioni reali sia per l’improvvisa apertura della volta, liberata dal coro, sia per la sobrietà delle forme classicheggianti dell’altare maggiore, poco aggettante dalla parete di fondo.
L’attuale aspetto della chiesa fu realizzato a partire dal 1498 quando le Clarisse entrate in possesso del monastero dopo la dipartita delle monache Cistercensi, lo adattarono alle loro esigenze, liturgiche e spirituali.
Alla Chiesa si affiancano la sacrestia un atrio porticato affrescato da Domenico Fiasella, un’aula Capitolare ed alcune stanze del monastero. La parte restante risulta totalmente rinnovata dopo i danni dell’ultima guerra.
La storia decorativa del complesso comincia col 1550, allorché le suore di S. Chiara, utilizzando i fondi messi a loro disposizione dai mecenati genovesi Paride Centurione e Battista Pallavicino, commissionano a L. Cambiaso, famoso pittore del tempo, nel 1550 o 1551, “Il Battesimo di Gesù” del secondo altare a sinistra. Una trentina di anni dopo L. Cambiaso dipinge una seconda tela, molto più grande, che domina l’altare maggiore: “la Deposizione di Cristo” e al disopra di essa una tavola che rappresenta “Dio Padre Benedicente” con il globo nella mano sinistra, che guarda in basso verso la sottostante Deposizione.
A G. B. Carlone fu fatta dipingere, nel Sancta Sanctorum, “S. Chiara moribonda visitata da papa Innocenzo IV “ tutti gli affreschi che si trovano nella zona del presbiterio e la tela che rappresenta “S. Francesco confortato dagli angeli”, prima a sinistra di chi entra in chiesa. Ancora del Carlone sono gli affreschi della sala del pozzo all’interno della clausura. Altre due tele molto belle sono sul lato destro della navata: “La madonna del Rosario” di Gio A. Ratti e “l’ e “Il transito di S.Francesco” di D. Fiasella.
A due dei più prestigiosi affreschisti del ‘600 e ‘700 genovese, Giuseppe Palmieri e Francesco Costa, viene dato il compito di completare l’opera iniziata dal Cambiaso e dal Carlone: “la pittura fascia tutta la superficie interna, gira con le sporgenze e con le rientranze, entra nelle cappelle e nelle strombature delle finestre; il pennello dei due freschisti è passato proprio dappertutto per la gioia dei nostri occhi, uniformando tutta la decorazione con tenui colori pastello.”
Al coro si accede attraverso una piccola scala vicino alla sala capitolare. Il coro è un’ampia sala rettangolare con una copertura a botte lunettata, anch’essa totalmente affrescata da Giuseppe Palmieri e da Francesco Costa. Un doppio ordine di stalli lignei ne riveste il perimetro, che termina con la tribuna convessa che si affaccia sulla navata.
Una caratteristica non comune della chiesa è costituita dalla presenza, sopra la volta di copertura, di vasi acustici disposti su tre file longitudinali (forse in passato erano cinque) di cui la centrale sull’asse della chiesa. Sono visibili quattordici fori a cui corrispondono altrettanti vasi acustici, comuni giare di terracotta per contenere olio, alte 90 cm. e larghe 70 cm., sprovviste di manici; hanno un bordo piuttosto spesso che si piega verso l’esterno e l’interno ricoperto interamente di smalto vetroso.
Interessanti sono le opere scultoree: due statue marmoree di “Madonna con Bambino” di Tommaso Orsolino (1587- 1675); la più grande si trova nella sala capitolare, la seconda più piccola, sulla balaustra del coro affiancata da due statue di Santa Chiara e San Francesco. Le decorazioni dell’altare maggiore in marmo policromo sono della bottega di Taddeo Carlone (1543-1615).
La facciata, in origine decorata con meravigliosi affreschi del Fiasella, fu il risultato del prolungamento del coro, che poggia su un porticato a tre arcate sorretto da pilastri.
Una tripartizione orizzontale divide il prospetto in tre zone. La prima è costituita dallo stesso porticato; la seconda è costituita da elementi architettonici che inquadrano scene figurate: al centro la Vergine circondata da angeli, da un lato S. Antonio e dall’altro lato S. Francesco; la terza è a carattere esclusivamente figurativo, con al centro il Cristo Redentore che regge la croce circondato da angeli, da un lato un gruppo di Clarisse e dall’altro lato un gruppo di Francescani.
L’atrio porticato, separato dall’esterno da una cancellata, è un vano rettangolare di m. 10,5 per 7. Il portone d’ingresso è sormontato da una finestra e le pareti circostanti e la volta sono interamente affrescate da Domenico Fiasella, probabilmente nel 1654, come riportato nel mosaico pavimentale, composto da ciottoli bicromi di fiume o di mare, grigi per il fondo, bianchi per le figure, realizzato su cartoni disegnati dallo stesso Domenico Fiasella. Sono rappresentate scene della Bibbia: la cacciata di Adamo ed Eva da Paradiso Terrestre, Abramo e Isacco e l’Arca di Noè. Ai quattro angoli della raffigurazione centrale sono rappresentati i simboli dei quattro Evangelisti.
La parte nuova del monastero è stata trasformata a scopo sociale, per ospitare anziani, malati e le loro famiglie; la parte antica viene utilizzata dall’associazione “Amici del Monastero di Santa Chiara APS” costituitasi , senza fini di lucro, il 16 novembre del 2001, dopo la partenza delle ultime cinque suore. L’Associazione promuove iniziative culturali, concerti, conferenze e visite guidate, sempre nel rispetto della sacralità del luogo.
L’obiettivi dell’Associazione è far conoscere questo monumento e raccogliere fondi per restaurare quelle parti maggiormente compromesse e destinate a un progressivo degrado. Il tutto viene realizzato con l’approvazione dei padri Francescani curatori del monastero e delle stesse suore che da lontano seguono le iniziative e le attività dell’associazione.